Felicit! ïåðåâîä íà èòàëüÿíñêèé

Èðèíà Àëëåí
Irina Allen. Autrice del libro Di un altro bianco (RIOR, 2011) e dei racconti editi nella raccolta Flessione inglese (APIA, London 2013). Autrice di pubblicazioni per la rivista britannica in lingua russa Russian UK. Irina Allen ; membro dell'Unione internazionale dei letterati e dei giornalisti APIA e del Club Letterario presso APIA. ; sposata. Vive a Londra.

FELICIT;
Parliamo in italiano. ; lei a parlare: una gran bella donna, un po’ avanti con gli anni, con una corona di capelli bruno-dorati. Indossa qualcosa di colore acceso che lascia scoperti il petto e il collo. Io la ascolto captando ogni parola, in silenzio, sciogliendomi in ammirazione. Dopo aver preso un sorso di vino di colore rosso scuro da un calice dallo stelo intarsiato, riprende a parlare:
«; vero, mi piaceva molto indossare gioielli. L'oro mi dona, non ; vero? Anche le pietre sgargianti. ; il mio stile. E poi sapevo divertirmi spensieratamente! La gente non sa pi; divertirsi con eleganza, non trova?» Pronunciate queste ultime parole, la signora diventa triste e smette di parlare, immersa nelle sue riflessioni. «Avevo dei nemici... erano forti, come devono esserlo i nemici. Ma io sapevo difendermi. Non ho mai amato gli scandali. Ah, certo, era capitato anche a me, tutta colpa della giovinezza... Ho capito ben presto che la mia arma era l'intelligenza, mentre il mio talento erano gli intrighi. Il gioco. Odio i farisei! Io e lei non siamo dei farisei. Non ; cos;, mia cara?» Mi lancia uno sguardo interrogativo.
«Ma che dice, Signora... Certo che no, noi non siamo dei farisei». Mi sento lusingata da questo noi.
«Nessuna era al mio pari! Gli amici?! Uno che veniva dal Nord, una volta disse: io non ho amici, ho interessi. Avevo un'Amica-Nemica un tempo... Anche lei amava i gioielli appariscenti, come me. Era pi; grande di me. Una vera bellezza, di sangue imperiale. Mentre io ho dovuto faticare per diventare qualcuno, senza l'aiuto di nessuno. Non ho mai amato la monocrazia. La plutocrazia, s;, ma non questo cesaropapismo, sa…»
Sorride di nuovo:
«Il suo dominio stava tramontando. Le malelingue dicevano che io avessi rubato i suoi gioielli. Tutte fandonie! Avevo i miei, ne avevo a volont;! E poi, se anche li avessi rubati? Non aveva fatto lo stesso pure lei? Un ladro che deruba il ladro... E poi che se ne faceva una vecchia? Io almeno ho conservato tutto intatto, mentre quello che era rimasto a lei alla fine lo hanno depredato e deturpato completamente. Beh…» muove la bella mano facendo cenno di lasciar perdere, «adesso tutto ci; non ha pi; alcuna importanza: ormai ; diventato tutto mio da tempo».
Il cinismo e l'ironia sono scomparsi. Ha ripreso a parlare con convinzione e passione:
«La maldicenza ; perfida... ma persino le voci della gente non mi hanno mai attribuito amanti. E io non ne avevo per niente, anche se erano in tanti a mostrarmi il loro interesse, davvero molti. Ma io ho un marito, uno e solo uno, per tutta la vita! Mi ha dato tutto! Tutto quel che possiedo ; grazie a lui. Lui ; il mio paladino, lui ; la mia difesa. Mio marito, il mio Ilmar!»
Si piega impercettibilmente in avanti.
«Ma tutto cambia. Quello che ora lei vede, bambina mia, sono i resti degli sfarzi del passato. La vita se n'; andata. Non si pu; far tornare la vita... E la pensione statale non pu; di certo bastare per sopravvivere. Ed ecco che ti tocca metterti in mostra di fronte a dei perdigiorno. Ma anche tutto questo non sarebbe nulla, se non fosse per mio marito... Si dice che mi stia rovinando, che non mi sia pi; amico, che porti troppa sporcizia in casa nostra».
«Ebbene, sono una vecchia?» la dama avvicina il volto al mio e mi guarda, per la prima volta, dritto negli occhi e senza l’accenno di un sorriso.
«Ma no, no, affatto, Signora» comincio a balbettare ma sto gi; notando il cambiamento nella mia interlocutrice, il cui volto si ; oscurato; i suoi tratti sono diventati affilati scoprendo delle rughe profonde, sono venute alla luce le borse sotto gli occhi, l'oro dei capelli ha perso la sua lucentezza. No, ; ancora magnifica e bella, anche se di una bellezza diversa, tragica.
***
«Fango!» il richiamo interrompe la conversazione. Mi alzo di scatto e corro via.
Franca, un'italiana carina, bassa di statura e con la voce di uno scaricatore di porto, sta in mezzo al corridoio con le mani poggiate sui fianchi.
«Scusa, Franca!»
Cinque minuti dopo, scampata alla tempesta, mi trovo sdraiata, immersa nel fango fino alle orecchie, coperta da un telo grigio militare. Giacere in questo modo fa schifo. Caldo. Il sudore mi scorre negli occhi e non c'; verso di levarlo per via delle braccia bendate. Ma ecco che arriva il mio salvatore! Non conosco il suo nome, so solo che ; albanese (per la prima volta, dopo l'infanzia, mi ricordo dell'esistenza di questa nazione). Prende un asciugamano candido come la neve e asciuga il sudore dal mio viso.
«Oh, grazie!» mi abbandono di nuovo ai ricordi del passato. Che giornata ho vissuto! Venezia...
L'autobus ci ha portato in Piazzale Roma. Ho comprato una guida e sono riuscita a perdermi all'istante, anche se sulle mura degli edifici ci sono scritte le indicazioni: Primo itinerario, Secondo itinerario, Terzo itinerario. Mi sono fermata sopra un ponticino gobbo, cercando con lo sguardo un passante per chiedere «come arrivare a...». Ma tutto attorno era silenzioso e deserto, non sembrava nemmeno Venezia. Sono rimasta l; per un po' a guardare l'acqua quieta color verde e mi sono calmata anch'io. Cos; non ho rincorso una donna dai capelli scuri, che avanzava a passo sostenuto e cadenzato dal battito dei tacchi e poi era scomparsa dietro una qualche porta, per aggrapparmi alla sua sottana. Ho provato il desiderio di camminare in modo sicuro come lei e di sentirmi una di queste parti. E poter percepire la bellezza intorno a me con dignit;, senza spalancare la bocca dallo stupore. Con questa disposizione d’animo mi sono avviata. Le case con i numeri 1340, 1653... mi circondavano, quasi mi accerchiavano in modo serrato: non si poteva nemmeno allungare un braccio. In queste case si vive ancora. A volte potevo intravedere, attraverso le finestre non oscurate dalle tende piante, piccoli vasi, statuette, gatti assopiti, cartoline di auguri e altre suppellettili della vita quotidiana. Le viuzze-corridoio, con il loro soffitto del cielo tinto di azzuro-blu, erano buie e fresche. Si diramavano, scappando in direzioni diverse, confluivano l’una nell'altra e si incrociavano con piccoli ponti. Poi all'improvviso apparivano delle piccole piazze assolate. Allora mi fermavo e tendevo il viso verso il sole. Il sole mi avvolgeva con calore e felicit;. Passata un'ora e mezza circa le vie sono diventate pi; affollate, sono arrivate le voci, il chiacchiericcio. Voleva dire che il centro era vicino.
Ho visto il Canal Grande, San Marco, Palazzo Ducale e la Libreria Sansoviniana tutto insieme, sgusciando fuori da un arco. Girando la testa verso destra ho visto anche la piazza. Sono rimasta immobile. Puoi prepararti quanto vuoi, ma l'architettura ti coglie sempre alla sprovvista. Dentro di me stava crescendo, ondeggiando, cercando di liberarsi e uscire fuori, togliendomi il fiato, un’enorme bolla di gioia. Non pi; in grado di domarla ho spalancato la bocca lanciando un grido: «Felicit;!» Avesse girato la testa verso il mio urlo almeno una persona! Ovunque sono ammassati i turisti e tutti schiamazzano parlando la propria lingua. Dopo ; stato il momento della gondola col gondoliere... Non ho voluto risparmiare. E che il gondoliere mi canti la sua canzone per ottanta euro! Dopo ; stato il momento di una tazza di caff;. Carissimo. Ma siamo a San Marco! Siamo alla festa della vita! L’orchestra suonava, dal vivo, l'Inverno di Vivaldi. L'Inverno era compreso nel conto, appariva sotto la dicitura "musica". Ho chiesto al cameriere, perch; mancasse la "felicit;" nel conto, al che mi ha risposto, con un inchino galante: «Signora, la "felicit;" non sarebbe redditizia. Troppo cara. Venezia dona la felicit;, gratis». I camerieri del posto hanno la lingua sciolta.
E attorno a me, la moltitudine di voci, le risate, lo scattare delle macchine fotografiche (qualcuno ha notato con arguzia: si fanno le foto per non guardare).
Tutti quanti erano uniti dall'ozio... I perdigiorno... E io, chi sono io?
***
La voce della "scaricatrice" italiana interrompe i miei ricordi.
«Finita la festa!»
Franca mi libera dalle bende. La doccia salvifica. Eccolo il piacere: tornare ad essere linda e libera.
L'accappatoio sul corpo bagnato e poi via, verso la piscina di acqua termale. Ordino un caff;, un gelato e, chiss; perch;, un calice di spumante per brindare "A Venezia!"
Al bar alcune simpatiche ragazze russe fanno le civette con il barista in un inglese scadente.
«Mi dica, il mare, come si dice in italiano?»
Non sento la risposta.
«Ed ; femminile o neutro? In russo il mare ; neutro».
«Maschile», ripete il barista. «Il mare».
Ilmar! Ilmare! Ho sentito questo nome proprio di recente... Qualcuno lo ha pronunciato con amore e nostalgia. Ma chi?! Io non so l'italiano. Non conosco nessuno in questo hotel. Allora chi?! Dove l'ho sentito?!
Entro in camera, vedo il letto disfatto, mi ricordo che non mi sono svegliata in tempo per il trattamento, allora mi torna in mente il richiamo di Franca, il fango, e... mi torna in mente la dama. La telefonata ha interrotto la mia conversazione con quella bellissima dama! Quella che ama suo marito Ilmare... Vuol dire, che quella dama ; la consorte del mare? Dunque, lei ;... Venezia?! Ma certo! Lo Sposalizio di Venezia con il mare di Canaletto, del Museo Pu;kin. Lo ha fatto anche Guardi... Il mare ; lo sposo, Venezia ; la sposa.
Appoggio la fronte sul cuscino: «Ti prego, sogno, vieni fuori, riappari». Fluttuano dei frammenti, ma domina un colore: l'oro... i suoi capelli sono color oro brunito. Amava l'oro e l'aveva rubato all'amica... Comincio a sbrogliare la matassa tenendo il filo d'oro e il sogno notturno fa la sua apparizione alla luce del giorno. Sto parlando a voce alta, come per compensare il silenzio notturno.
«Ora tutto torna! ; Venezia. Ricca e allegra. Una volta... Tutta Europa era sua debitrice, affogata nei debiti come una dama sprofonda nella seta. E l'amica, di sangue imperiale? Ma quella ; Bisanzio, impero decadente! Molto tempo fa l'imperatore Costantino saccheggi; Roma. Secoli dopo il Duca veneziano "reindirizz;" i crociati a depredare Costantinopoli al posto di Gerusalemme a causa dei debiti. Ecco perch; i gioielli sono rubati! "Il ladro che deruba il ladro"! La fortuna di avere un bravo marito... all'inizio... Stare con questo Ilmar voleva dire non avere alcun bisogno di mura e fortezze all'epoca delle tecniche elementari. Ma tutto finisce... Il marito-mare rovina Venezia, la affoga letteralmente, ma c'; scampo? Forse ; venuta per lamentarsi. Ma no, non lo farebbe... Che cosa vuol dire l'et; per una donna vera? Madama, lei continua a toccare il cuore e ad ispirare e lo sa bene! Grazie di aver rinfrescato le mie conoscenze, schiacciate nella polvere, ma lei non mi ha comunicato niente di nuovo, la sua storia non ; stata mai riscritta, da nessuno. Lei ha avuto decisamente pi; fortuna della Rus', balorda veneratrice delle tradizioni bizantine, la Russia. Allora come si spiega questa visita?»
***
All'aeroporto Marco Polo compro un documentario americano su Venezia. Lo guardo a casa insieme a mio marito. Lui non c'; mai stato, vorrei raccontargli che cosa ha suscitato la mia ammirazione, ma non ci riesco. La reporter americana ; interessata a ben altro: alle curiosit; e stranezze, agli orologi allegorici, alle fontane, agli ingegnosi dispositivi per rendere l'acqua potabile...  Al modo in cui furono realizzati. Ma la storia, i nomi, gli eventi, tutto questo non c'entra, non incuriosisce nessuno? La citt; sull'acqua non ; nient'altro che lo sfondo per mettere in mostra i successi del pensiero ingegneristico. Come se io e l'americana avessimo visitato due citt; diverse. Sicuramente il mio sogno era destinato a lei (con l'obiettivo di istruirla), e si ; rivelato a me per errore.
Quella notte sogno uno strano ventaglio, dipinto con navi e uccelli, palazzi sullo sfondo del mare, dame e cavalieri... All'improvviso il ventaglio si richiude: ora pende dal polso di quel braccio regale a me ormai noto. Traduco meccanicamente questo gesto dal linguaggio del ventaglio: «Diventiamo amici!» (una volta ero appassionata di quest’arte antica). Ma certo, la Dama era venuta in visita proprio da me! Era lei l'unica ad aver sentito il mio grido in piazza San Marco. «Felicit;!»